Codice Penale art. 26 - Ammenda.Ammenda. [I]. La pena dell'ammenda [8 coord.] consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro 20, né superiore a euro 10.000 [66 n. 3,78 1 n. 3, 133-bis 2] (1). (1) Articolo così sostituito dapprima dall'art. 2 d.lg.lgt. 5 ottobre 1945, n. 679, poi dall'art. 2 d.lg.C.p.S. 21 ottobre 1947, n. 1250, successivamente dall'art. 2 l. 12 luglio 1961, n. 603, e infine dall'art. 101 l. 24 novembre 1981, n. 689. Il testo originario era così formulato: «[I]. La pena dell'ammenda consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a lire venti né superiore a lire diecimila. [II]. Quando per le condizioni economiche del reo, l'ammenda stabilita dalla legge può presumersi inefficace, anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al triplo». Mentre il comma 2 rimaneva immutato nelle stesure del 1945, del 1947 e del 1961, per venire poi meno con la stesura dovuta alla l. 24 novembre 1981, n. 689, cit., che gli ha fatto subentrare l'attuale art. 133-bis c.p., il comma 1 del presente articolo parlava nel 1945 di «somma non inferiore a lire cinquanta, né superiore a lire ventimila», nel 1947 di «somma non inferiore a lire centosessanta, né superiore a lire ottantamila» e nel 1961 di «somma non inferiore a lire ottocento, né superiore a lire quattrocentomila». Infine l'articolo è stato modificato dall'art. 3 della l. 15 luglio 2009, n. 94, che ha sostituito le parole: «non inferiore a euro 2» con le parole: «non inferiore a euro 20 » e le parole: «né superiore a euro 1.032» con le parole: «né superiore a euro 10.000». InquadramentoLa pena dell'ammenda è la pena pecuniaria prevista per le contravvenzioni, si distingue dalla multa unicamente per il fatto che la seconda è prevista per i delitti. Detta pena non priva il condannato della libertà personale, ma lo costringe ad effettuare il pagamento di una determinata somma in favore dello Stato (più precisamente, il pagamento è diretto alla Cassa delle ammende, ente pubblico istituito presso il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria). Molte dei delitti puniti con la sola pena della ammenda (al pari di quelli puniti con la sola multa) sono stati interessati da un intervento di depenalizzazione dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, che ha altresì previsto per dette fattispecie la sottoposizione ad una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 50.000. La depenalizzazione non ha interessato i reati puniti alternativamente o congiuntamente con la pena dell'arresto e dell'ammenda. Ove non sussistano cause ostative, la pena dell'ammenda può essere applicata anche in via sostitutiva, in luogo della pena della reclusione fino a sei mesi (artt. 53 e 59 l. 24 novembre 1981, n. 689). Funzione della pena pecuniariaSi veda per quanto già enunciato sub art. 24. Criticità sul piano costituzionale Si veda per quanto già enunciato sub art. 24. Limiti edittaliIl legislatore ha previsto dei limiti edittali minimi e massimi dell'ammenda, disponendo che essa non possa essere inferiore a euro 20, né superiore a euro 10.000. Detti limiti edittali sono stati aggiornati ad opera della l. 15 luglio 2009, n. 94. Prima di detto intervento legislativo, i limiti edittali erano stati innalzati (da lire 800 a lire 4.000 il limite minimo e da lire 400.000 a lire 2 milioni quello massimo) ad opera dell'art. 101 l. l. 24 novembre 1981, n. 689, che aveva altresì soppresso il secondo comma dell'art. 26 c.p. (e sostituito l'art. 24, comma 3, c.p.) inserendo quanto abrogato all'interno dell'art. 133-bis c.p. A norma dell'art. 133-bis c.p., nella determinazione dell'ammontare dell'ammenda il giudice deve tener conto anche delle condizioni economiche del reo; la pena può dunque essere aumentata fino al triplo o diminuita fino ad un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, il giudice ritenga che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa per il reo. La multa può altresì essere pagata in rate mensili, in numero non inferiore a tre e non superiore a trenta; ciascuna rata non può essere inferiore a euro 15 (art. 133-ter c.p.). V. infra. Funzione dei limiti edittali V. quanto riportato sul tema sub art. 24. Deroghe Nei casi espressamente previsti dalla legge (art. 132, comma 2), i limiti minimo e massimo edittali sopra indicati possono essere derogati dal giudice. Si tratta delle ipotesi di concorso di più circostanze aggravanti (art. 66, n. 3) o di concorso di reati (art. 78, n. 3), ovvero dell'ipotesi di cui all'art. 133-bis, comma 2. Deve escludersi la possibilità di scendere sotto il limite minimo. La giurisprudenza nega che il giudice possa scendere al di sotto di detto limite nelle fasi intermedie di calcolo (Cass. V, n. 7453/2013; cfr. altresì Cass. VI, n. 25588/2013, in tema di pena detentiva). I limiti di cui trattasi sono spesso superati nella legislazione speciale e nella parte speciale del codice; la Suprema Corte ha in più occasioni ritenuto legittime le previsioni in deroga affermando che il limite di cui all'art. 26 c.p. non può che superarsi in forza di una legge speciale cronologicamente successiva (Cass. III, n. 5590/1998). A titolo esemplificativo si richiamano le previsioni speciali di cui all'art. 130 d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, che dispone la pena dell'ammenda da 12.911 euro a 509.502 euro congiunta a quella dell'arresto, ovvero quella di cui all'art. 3, comma 2, l. 7 giugno 1974, n. 216, che fissa la pena dell'ammenda da 1.032 euro a 20.658 euro. Alla luce di previsioni come quelle richiamate, autorevole dottrina ritiene che il sistema delle pene pecuniarie non sia improntato al principio di proporzionalità e ragionevolezza (Romano, Commentario, 240). I reati determinati da motivi di lucroPer le contravvenzioni determinate da motivi di lucro il legislatore non ha previsto una disciplina analoga a quella di cui all'art. 24, comma 2, c.p., a norma del quale nel condannare per delitti determinati da motivi di lucro, se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione, il giudice può aggiungere a detta pena quella della multa da euro 50 a euro 25.000. L'ammenda quale sanzione sostitutiva della pena detentivaOltre che come pena principale, l'ammenda può essere applicata quale sanzione sostitutiva della pena dell'arresto, ove ricorrano i requisiti di cui agli artt. 53 ss. l. n. 689/1981, vale a dire ove il giudice ritenga di dover determinare la pena detentiva entro il limite di sei mesi. Nella procedura di sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria trova applicazione la disciplina di cui all'art. 133-ter in tema di pagamento rateale. Si rinvia per il resto a quanto riportato sul tema sub art. 24. Insolvibilità del condannato Il testo originario dell'art. 136 prevedeva che l'ammenda non pagata si convertisse nella pena dell'arresto; la previsione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 131/1979) e oggi l'art. 102 l. n. 689/1981 dispone che l'ammenda non eseguita per insolvibilità del condannato si converta nella libertà controllata (per un periodo massimo di sei mesi) oppure, ove il condannato ne faccia richiesta, in lavoro sostitutivo. Sospensione condizionale della penaAl pari della pena detentiva, anche la pena dell'ammenda può essere sospesa condizionalmente (art. 163) ove la pena pecuniaria, sola o congiunta alla pena detentiva e ragguagliata a norma dell'art. 135, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo inferiore, nel complesso, a due anni. Il giudice può disporre anche d'ufficio la sospensione condizionale della pena dell'ammenda ove ritenga prevalente l'utilità che discende dalla funzione rieducativa insita nel beneficio in questione rispetto al contrario interesse dell'imputato; di detta determinazione il giudice deve rendere conto nella sua motivazione (Cass. III, n. 11091/2010). Il condannato alla pena dell'ammenda condizionalmente sospesa senza sua esplicita richiesta ha il diritto di ottenere dal giudice dell'impugnazione la revoca del beneficio ove da questo possa derivargli, anziché un vantaggio, la lesione di un diritto o di un interesse; sul punto la Suprema Corte precisa che deve trattarsi di un interesse avente rilievo giuridico ed effettivo e non meramente ipotetico (Cass. I, n. 13000/2009, relativa ad un caso di condanna per contravvenzione in ordine alla quale era proponibile l'oblazione; in tal caso la Corte ha ritenuto configurabile un interesse giuridicamente apprezzabile dell'imputato, stante la possibilità di eliminare l'iscrizione dal casellario, ove non sospesa condizionalmente). Secondo il dettato dell'art. 60 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, non è ammessa la sospensione della pena pecuniaria irrogata dal giudice di pace. Si rinvia per il resto a quanto riportato sul tema sub art. 24. Vicende estintiveLe cause di estinzione del reato e quelle di estinzione della pena sono le medesime previste in ordine alla pena dell'arresto, pertanto si rinvia alla trattazione sub art. 25 c.p. ovvero alla trattazione di cui agli artt. 150 ss. La rateizzazione della pena pecuniariaLa rateizzazione della pena pecuniaria può essere chiesta contestualmente all'emissione della sentenza ovvero successivamente ad essa. Si rinvia per il resto a quanto riportato sul tema sub art. 24. Diritto penitenziarioL'art. 47, comma 12, l. 26 luglio 1975, n. 354 dispone che l'esito positivo dell'affidamento in prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale e che ove l'interessato si trovi in disagiate condizioni economiche, il tribunale di sorveglianza può dichiarare estinta anche la pena pecuniaria che non sia stata già riscossa. Profili processualiA norma dell'art. 593, comma 3, c.p.p. sono inappellabili le sentenze di condanna con le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda e le sentenze di proscioglimento o di non luogo a procedere relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda o con pena alternativa. Si è posto il problema dell'appellabilità delle sentenze nelle quali, per mero errore, il giudice abbia applicato la sola pena dall'ammenda, trascurando la pena detentiva. La Suprema Corte si è pronunciata sancendo l'inappellabilità della sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, anche ove essa sia stata erroneamente inflitta quale unica pena, non potendosi fornire diversa interpretazione al tenore letterario dell'art. 593 c.p.p. (Cass. IV, n. 18654/2013). In tale pronuncia la Corte ha superato il precedente contrapposto orientamento, secondo cui l'art. 593, comma 3, c.p.p. impone la non appellabilità delle sentenze di condanna con le quali sia stata applicata legalmente la sola pena dell'ammenda e che il limite non possa riguardare le sentenze in cui detta pena sia stata applicata non nel pieno rispetto delle disposizioni di legge (Cass. II, n. 10252/2013). Ad avviso della Suprema Corte deve essere qualificato come appello e non come ricorso per cassazione l'atto di impugnazione che sia proposto avverso la sentenza con la quale il giudice di primo grado, ritenuta la continuazione tra delitto e contravvenzione, abbia ritenuto quest'ultima quale violazione più grave ed abbia applicato la sola pena dell'ammenda. Ai fini dell'operatività dell'art. 593, comma 3, c.p.p., infatti, il giudice di appello non deve limitarsi a fare riferimento alla denominazione attribuita alla pena nel dispositivo, ma deve preliminarmente verificare la propria competenza in ordine alla norma incriminatrice cui è correlata la sanzione, dovendo procedere ad una lettura congiunta degli artt. 593 c.p.p. e 17 ss. (Cass. V, n. 40051/2010). Analogamente, l'impugnazione che può essere proposta avverso una sentenza di condanna per una contravvenzione per la quale sia stata inflitta la pena dell'ammenda come sanzione sostitutiva (in tutto o in parte) dell'arresto, è l'appello e non il ricorso per cassazione, giacché l'art. 593, comma 3, c.p.p. fa riferimento alle sole sentenze di condanna a pena originariamente prevista come ammenda (Cass. I, n. 10735/2009). Si rileva infine come ad avviso della giurisprudenza di legittimità ove sia proposto appello avverso una sentenza di condanna alla sola pena dell'ammenda (che, come detto, è inappellabile), la corte di merito deve astenersi dal decidere e, qualificata come ricorso l'impugnazione proposta, disporre la trasmissione degli atti alla Corte di Cassazione. Nel caso in cui, invece, la corte di appello dichiari l'appello inammissibile e detta sentenza venga impugnata, la corte di legittimità deve annullare senza rinvio la sentenza impugnata e ritenere il giudizio, qualificando l'originario gravame come ricorso per cassazione (Cass. III, n. 23651/2008). BibliografiaGioisis, La pena pecuniaria: un'indagine storica e comparata. Profili di effettività della sanzione, Milano, 2008; Santalucia, Condanna, per mero errore, soltanto alla pena dell'ammenda: appellabilità della relativa sentenza?, in Cass. pen., 2014, 8. |